Andare in bici è più pericoloso che andare in macchina, in autobus o in aereo. Lo rivela l’ultimo rapporto dell’Istat sulla mobilità urbana e relativo al 2011. L'indice di mortalità, cioè il rapporto percentuale tra i morti e gli incidenti che coinvolgono le biciclette, e' pari a 0,86 ciclisti per incidente (ogni 100 eventi verificatisi nei comuni capoluogo che hanno coinvolto le biciclette) e 0,38 morti in incidenti che coinvolgono ciclisti ogni 100 mila residenti.
Nel 2011 sono stati registrati 3860 morti di cui 1889 su quattro ruote, 923 motocicli, 165 ciclomotori, 282 biciclette e 589 pedoni.
Resta comunque allarmante il fatto che negli ultimi 10 anni 2.556 ciclisti e 7.625 pedoni sono stati uccisi sulle strade italiane. E’ questo il tragico bollettino di quella che somiglia sempre più ad una guerra della mobilità dominante contro la mobilità considerata debole. Per questo diverse associazioni tra cui Fiab (Federazione italiana amici della bicicletta) e Salvaciclisti si battono per il riconoscimento della libertà di mobilità, sottolineando che mezzi come la bicicletta costituiscono un’avanguardia e non un passo indietro. Per ridurre il numero dei morti cosiddetti deboli bisognerebbe partire delle semplici infrastrutture per bici, le piste ciclabili, che sono presenti in maniera considerevole al nord e quasi inesistenti al sud. La città con la maggiore densità è Padova (164, 8 km ), seguita da Torino, Brescia, Modena e Treviso.
Quello che chiedono le associazioni e molti cittadini stufi della velocità schizofrenica della mobilità su quattro ruote, è una città a dimensione umana in cui ognuno sia libero di muoversi con il mezzo che preferisce e non quello imposto da un’economia che sceglie il profitto invece della salute dei cittadini e dell’ambiente.
Lisa D’Ignazio
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